Intervista a Marco Forneris autore del ritratto di fanciulla
Oggi abbiamo il piacere di incontrare l’autore Marco Forneris.
Marco si è laureato in informatica a Torino e ha iniziato la sua carriera di manager nella mitica Olivetti. In seguito, ha ricoperto il ruolo di Chief Information Officer di alcune delle più note aziende italiane: Il Sole 24 Ore, Assicurazioni Generali, Gucci, FIAT e Telecom Italia. Ha pubblicato per Teti Editore nel 2016 “Il nodo di seta” e nel 2019 “L’Oro di Baghdad”. In parallelo alla sua attività di scrittore, si occupa di M&A e Business Development per aziende di Information Technology, Private Equity e Banche d’affari.
Scopriamo qualcosa di lui e della sua ultima opera “Ritratto di fanciulla” edito dalla Florestano Edizioni.
La sua passione per la scrittura come e quando nasce?
La passione c’è sempre stata ed è figlia di tante letture, ma per dare frutti richiede tempo, merce rara nella mia vita almeno fino al 2011, quando ho deciso di fare un pit stop.
Per circa un anno ho smesso di pensare al lavoro e mi sono dedicato ad altre cose: ho preso casa in Grecia, nel basso Peloponneso, e fatto diversi viaggi all’estero, in località lontane; ecco che ho cominciato a scrivere la trama del primo romanzo.
Decidere di scrivere e fare un buon libro però sono cose differenti: non basta l’intenzione, bisogna imparare. La versione iniziale del Nodo di Seta (il suo primo libro ndr) era di difficile lettura, ma avevo buoni maestri e alla fine, dopo 6 anni (sorride ndr), credo di aver dato alla luce qualcosa di buono.
Come riesce a conciliare il lavoro con la scrittura?
Dopo l’anno sabbatico ho ripreso la mia attività, ma a ritmi e con ruoli ben diversi rispetto al passato, lasciando ampio spazio alla scrittura e ai viaggi.
Va detto che non sono un professionista dello scrivere, né penso a vantaggi economici, peraltro piuttosto rari (sorride ndr).
Scrivo per passione, per creare storie che piacciano innanzitutto a me, e poi spero anche ai miei lettori. Scrivere in assoluta libertà è bello, ti consente di proiettare tutto te stesso dentro la storia che stai raccontando, senza calcoli e con un pieno senso di autonomia di pensiero.
Perché ha scelto proprio quel periodo storico (fine secondo conflitto ndr)?
La fine di una guerra è sempre pregna di contenuti torbidi, quindi molto interessanti per uno scrittore. Si dice che tutti i conflitti finiscono nella bottega degli antiquari, e non è una forzatura. Ho avuto la fortuna di essere informato da fonti dirette su taluni fatti, che mi hanno dato lo spunto per approfondire il tema delle sparizioni di opere d’arte durante il secondo conflitto mondiale, e non mi sono lasciato sfuggire l’occasione.
Ha lavorato prima a una scaletta o ha scritto di getto?
Sembrerà strano, ma non ho scritto una parola se non quando ho avuto ben chiara in mente la story-line. Durante il lockdown ero solito fare lunghe passeggiate con mia moglie, abito in aperta campagna; le raccontavo lo sviluppo della trama, con relative discussioni. Fissati i paletti, è cominciata la stesura del testo.
Quali sono le difficoltà che ha incontrato?
La documentazione storica, che ha richiesto molto tempo e viaggi di verifica in alcune località, ma è stata anche la parte più divertente. La difficoltà maggiore l’ho riscontrata nel descrivere eventi che hanno coinvolto la mia famiglia. In un certo senso, parte del romanzo attinge dalla mia storia personale e da quella dei miei genitori, e il coinvolgimento emotivo in alcuni momenti ha pesatonotevolmente.
Ci racconti quale è stata la scintilla che ha dato vita all’idea…
I romanzi precedenti avevano come spunto iniziale un furto, finanziario nel caso del Nodo di Seta e di preziosi nell’Oro di Baghdad. Ero alla ricerca di una trama che proseguisse lungo questo fil rouge, quando mi sono imbattuto nel caso di Cornelius Gurlitt. Quest’ultimo era figlio di un broker d’arte dei nazisti che si prestava alla compravendita di quadri rubati, perlopiù a famiglie ebree ma non solo. Fermato, per puro caso, nel 2010 dalla polizia tedesca al rientro dalla Svizzera con ingenti somme di denaro in tasca, gli investigatori scoprirono nelle sue case a Monaco e Salisburgo più di 1400 quadri, e quasi tutti non catalogati, con proprietari perlopiù ignoti. Era l’incipit che cercavo per una trama fantastica.
Cosa ha voluto dire con la sua storia?
Mettere in evidenza la relazione fra delitto e potere. Ci saranno sempre uomini disposti a commettere delitti pur di ottenere un premio al loro ego smisurato. In alcuni casi, il premio è stato il possesso di opere d’arte. Dai tempi di Cicerone e Verre, passando per Napoleone e per finire a Hitler e Goring, la razzia di capolavori è stata una caratteristica peculiare dei conquistatori, che non si accontentavano di dominare persone e territori, ma volevano anche possederne l’anima.
Per i personaggi ha fatto riferimento – magari in parte – a persone reali oppure sono solo frutto della fantasia?
Molti personaggi sono reali, alcuni presenti con il loro vero nome e altri sotto pseudonimi.
Ad esempio, sono presenti i camei di tre personaggi noti, anche se non notissimi, almeno in Italia. Il primo è Patrick Leigh Fermor, uno straordinario scrittore inglese di viaggi che, tra l’altro, per diversi anni ha abitato a pochi metri dalla mia casa in Grecia. In Italia è pubblicato da Adelphi.
Gli altri due sono Rafi Eitan e Tamir Pardo, in passato esponenti di spicco del Mossad.
Nel romanzo compaiono altri personaggi storici, come Pompeo Colajanni e Piero Balbo, capi partigiani nella Torino della Resistenza, ma due sono protagonisti assoluti, pur non apparendo mai in prima persona: la Fanciulla e L’Artista, Isabella d’Este e Leonardo da Vinci.
Ritiene che la verosimiglianza sia importante oppure no visto che si tratta comunque di fiction?
La verosimiglianza per me è fondamentale. Si può e si deve giocare sui rapporti interpersonali, sui sentimenti, ma non sulla Storia. Ci sono in giro fin troppi romanzi che raccontano storie inverosimili.
Che consigli darebbe, basate sulla sua esperienza, a chi come lei voglia intraprendere la via della scrittura?
Che è una via lunga e stretta, ma che vale la pena di percorrere.
Mi descriverebbe il suo libro con tre aggettivi?
Avvincente, divertente, istruttivo.
Un pregio e un difetto del protagonista David Faure, ricordiamo alle prese con la sua terza avventura.
David Faure è intelligente ma non è un eroe puro, ha le sue zone d’ombra e non esita a forzare la linea della legalità quando pensa di averne diritto, la sua grande generosità può allora trasformarsi in ferocia. In altre parole, è un archetipo dell’essere umano, imperfetto e guidato talvolta da una morale discutibile.
Visto che si parla di opere d’arte in questo romanzo, che rapporto ha in generale con l’arte?
Fin da ragazzino mi sono interessato di storia dell’arte, anche se non sono mai diventato un esperto di qualche particolare filone. Anche durante i miei viaggi ho sempre trovato il tempo necessario per visitare un museo o partecipare a un evento artistico. Tra l’altro, nel romanzo compare con lo pseudonimo di Christopher de Luna, il raffinato presidente della casa d’asta Morris & Jenkins, un personaggio ispirato al mio vecchio collega Domenico De Sole, ex presidente di Sotheby’s, appassionato collezionista e preziosa fonte di informazioni per alcune parti di Ritratto di Fanciulla.
Quale autore ha influenzato la sua scrittura?
La Carrè per le trame sofisticate, Winslow per la realistica crudezza.
In quale momento della giornata preferisce scrivere?
Non sono per nulla metodico, scrivo quando mi sento ispirato e ciò può capitare in qualsiasi momento della giornata. Mi serve anche silenzio e tranquillità, e quando sono in Grecia trovo il giusto equilibrio di entrambe.
Come si descriverebbe con tre aggettivi?
Curioso, determinato, irrequieto.
Ci può raccontare, se c’è, un aneddoto sul suo libro?
Sì, c’è un fatto curioso e legato a Leonardo da Vinci, protagonista ombra del romanzo.
Nella scelta delle ambientazioni avevo individuato due luoghi interessanti, Belgrave Square a Londra, e il Museo d’Arte Moderna di Tel Aviv.
Le motivazioni erano molto semplici: la vicinanza di talune ambasciate per Londra e quella della sede dei Servizi Israeliani per Tel Aviv.
Solo successivamente, approfondendo la trama e gli indirizzi, mi sono reso conto che a Belgravia era installata una rappresentazione in bronzo dell’Uomo Vitruviano e che la via per arrivare dal Museo al Parco Dubnov di Tel Aviv era intitolata a Leonardo.
Pur conoscendo entrambi i luoghi, giuro che ignoravo questi particolari e devo confessarvi che la coincidenza mi ha un po’ turbato, ma alla fine ho accettato il tutto come una tacita approvazione del Maestro.
Grazie mille Marco, è stato davvero un piacere chiacchierare con Lei.
Vincenzo CAPRETTO
TRAMA:
Torino, 27 aprile 1945. Un convoglio militare tedesco riesce a sfuggire alle formazioni della Resistenza che hanno appena liberato la città e si dirige con un prezioso carico verso la costa ligure, seminando morte e distruzione al suo passaggio. Sulle sue tracce un drappello di giovani partigiani che, pur non riuscendo a bloccarne la fuga, recupera in modo fortunoso una valigia dal contenuto sbalorditivo.
Londra, 2006. Sarah Cosworth, nipote di un giornalista ed ex agente delle Special Operations britanniche, rinviene fra gli averi del nonno alcuni documenti provenienti da ambienti nazisti insediati in Sudamerica e un antico disegno a sanguigna di strepitosa bellezza, forse il ritratto di una giovane Isabella d’Este.
Kardamyli, Novembre 2006. Patrick Fermor, anziano scrittore inglese molto legato alla famiglia di Sarah, chiede al suo vicino e amico David Faure di incontrare la donna per aiutarla a chiarire il contenuto delle lettere e l’origine del ritratto. David è un uomo d’affari italiano da poco ritiratosi in quel tranquillo angolo della Grecia, ma ha un debito con Fermor e un passato che lo ha visto spesso coinvolto in delicate indagini a livello internazionale. Accetta dunque l’incarico che, dopo Londra e l’opaco mondo che ruota intorno alle sue case d’asta, lo porterà a Venezia, nei laboratori di restauro dell’Accademia, quindi nella soffitta della sua vecchia casa di Gressoney, in una riservata banca svizzera e infine a Tel Aviv, a colloquio con un famoso cacciatore di criminali nazisti.
Le attività investigative attirano tuttavia l’attenzione di antichi nemici e mettono a rischio la vita della famiglia di David, il quale decide di recarsi in Argentina per chiudere vecchi e nuovi conti, inclusi quelli lasciati in sospeso dal padre partigiano.
Collana: Echi di storie
Genere: Narrativa contemporanea
Pagine: 564
Prezzo:20,00 €
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