Intervista a Cristiano Venturelli, curatore dell’antologia “Il diavolo in me” scritto da otto autori, ed edito da Ad Astra Edizioni.
-Com’è nata l’idea di scrivere un testo a più mani?
Annualmente il gruppo di scrittori modenesi del quale faccio parte pubblica una o due antologie di racconti fiction a tema. Ad esempio lo scorso anno ne sono state pubblicate due. La prima SHERLOCK HOLMES CONTRO SHERLOCK HOLMES pubblicata dalle Edizioni Il Fiorino è un’antologia di racconti gialli aventi come protagonista il famoso investigatore. La seconda STORIE DA UN UNIVERSO PARALLELO pubblicata da Ad Astra Edizioni è una raccolta di racconti incentrati sul mondo della sanità. Il tema viene proposto generalmente da un membro del gruppo che, se l’idea viene accettata dalla maggioranza (devono approvare e aderire all’iniziativa almeno sette autori), si accolla anche il ruolo di curatore e coordinatore. Nel caso dell’antologia IL DIAVOLO IN ME, poiché sono stato io a proporre il tema delle dipendenze, ho dovuto svolgere i ruoli precedentemente citati, oltre a quello di autore.
-Come è stata l’esperienza di coadiuvare insieme autori che avessero età, generi e stili totalmente differenti?
Trattandosi di una opera dedicata ad un argomento vasto ed eterogeneo come quello delle dipendenze, la parte più impegnativa è stata quella iniziale. Infatti l’unica regola prevista era che ogni autore incentrasse il proprio racconto su una specifica dipendenza diversa da quella degli altri. Lo scopo era infatti quello di realizzare un’antologia che, vista l’eterogeinità dell’argomento, trattasse il maggior numero di dipendenze, non solo quelle più note, ma anche altre, meno trattate dai mass media, ma non per questo meno diffuse. Questa, come curatore è stata la parte più complessa. Per il resto, come per le altre raccolte realizzate dal nostro gruppo, non è stata imposta nessuna regola inerente allo stile o al genere della storia. Anzi, uno dei maggiori pregi di IL DIAVOLO IN ME è proprio quello di aver realizzato un’antologia nella quale ogni racconto tratta una dipendenza diversa ed è scritto nel genere e con lo stile propri del suo autore.
-Cosa significa curare un testo?
La base di partenza è sempre l’argomento, il soggetto, il cuore insomma del testo. Ad esempio, quando scrissi il mio racconto per l’antologia IL DIAVOLO IN ME (La Farfalla), poiché l’argomento che doveva trattare era la dipendenza dal cibo (definita anche fame compulsiva) per prima cosa mi sono documentato in modo accurato sulle caratteristiche di questa particolare dipendenza e sulle caratteristiche dei soggetti che ne sono affetti. Quali sono le principali cause scatenanti? Qual’è la percentuale di popolazione adulta colpita da questo problema? Che tipo di riti comportamentali caratterizza la giornata di una persona affetta da questa dipendenza? Quali sono le sue conseguenze negative sia sul piano fisico che su quello mentale? Lo scopo principale di tutto questo lavoro preliminare è la costruzione del protagonista del racconto e soprattutto la sua credibilità agli occhi del lettore . Il passo successivo è la tessitura della trama. A seconda del genere attribuito al racconto (in questo caso il thriller), è sostanziale partire da una base concreta: come costringere una persona affetta da una dipendenza alimentare ad adeguarsi ad una dieta, pur non avendo la forza morale per farlo? Svolgendo ricerche su altre tipologie di dipendenze ho scoperto che la paura (sia che si tratti di sostanze che del cibo) è generalmente deterrente più efficace. Pertendo da questa base ho potuto costruire una trama, nella quale inserire i personaggi di contorno, che fosse credibile e, trattandosi di un thriller, che offrisse al lettore il giusto livello di suspance. Perchè, in conclusione, la cosa più importante qualunque sia l’opera che si scrive è il rispetto per colui che lo leggerà.
-Perché si è scelto l’argomento dipendenza?
In primo luogo perchè è un argomento che riguarda un’elevata percentuale della popolazione adulta. Secondo dati Istat circa un italiano su tre è affetto da una dipendenza patologica che, se non riconosciuta tempestivamente e trattata adeguatamente, comporta pesanti conseguenze non solo per la salute fisica, ma soprattutto per il devastante impatto a livello psicologico, umano e sociale che arriva a determinare indipendentemente dalla sua tipologia. L’altra motivazione che ha suscitato il nostro interesse per le dipendenze è l’impressionante varietà delle medesime: si passa da quelle legate alle sostanze (fumo, alcol, droghe, farmaci ecc.) a quelle di tipo psicologico come ad esempio la ludopatia, lo shopping compulsivo o la dipendenza affettiva con tutte le sue varianti.
-Nel testo si precisa che ad oggi molte dipendenze sono considerate meno importanti di altre, più conclamate. Perché secondo lei accade ciò?
I motivi sono diversi. Le dipendenze come il fumo, l’alcol o le sostanze stupefacenti hanno una origine secolare. Pertanto sono quelle scientificamente più studiate e sulle quali siamo in possesso del maggior numero di dati, sia sul piano patologico, che su quello sociale e psicologico. Inoltre sono quelle che interessano in Italia il numero più elevato di persone affette da dipendenze (circa dodici milioni). Tutto questo comporta un maggior interesse da parte dei mass media e, conseguenzialmente, dell’opinione pubblica in generale. La minore importanza che, erroneamente, si attribuisce ad altre forme di dipendenza è legata soprattutto al fatto che, pur coinvolgendo circa una decina di milioni di persone, l’interesse nei loro confronti è relativamente molto più recente rispetto alle altre. Dipendenze come la ludopatia, lo shopping compulsivo, Internet e i social media hanno un’origine decennale e pertanto anche gli studi e le conoscenze a riguardo sono più limitati, nonostante a livello umano e sociale i loro effetti devastanti siano ormai purtroppo tristemente noti.
-Il titolo è “il diavolo in me”, le dipendenze appaiono come una sorta di entità misteriose capaci di cambiare le sorti di chi ne è posseduto. Quanto è vera questa affermazione?
È purtroppo molto vera. Quando si è affetti da una dipendenza patologica si sprofonda in un vortice in cui la capacità di pensare viene totalmente meno. L’unica assoluta certezza di vita è quella didipendere. Chi è affetto da una dipendenza cronica non sente di bastare a se stesso da talmente tanto da non ricordarselo nemmeno e solo nel momento in cui avverte il piacere, il godimento generato dalla dipendenza, ha percezione della propria esistenza. Purtroppo dipendere da qualcosa o qualcuno significa averne un bisogno irrinunciabile ed immediato. Non è possibile vivere senza. Quando questo accade è molto difficile, a volte purtroppo impossibile, invertire il processo e riprendere il controllo delle proprie decisioni e della propria vita. Il demone della dipendenza (qualunque sia la sua forma o natura) avvolge la sua catena attorno alla nostra mente in un inestricabile intreccio e ne tiene saldamente in pugno i due capi per precludere ogni possibilità di liberarsene.
-Quanto è importante ad oggi sensibilizzare le persone sull’argomento dipendenze e perché?
Personalmente ritengo che si faccia molto poco per sensibilizzare le persone sul tema delle dipendenze. Ad esempio l’informazione e l’educazione sulla pericolosità di sostanze come il fumo, l’alcol o le sostanze stupefacenti dovrebbe partire dalle scuole elementari facendole diventare materie di studio alle quali attribuire la medesima importanza di storia o matematica. Inoltre a mio parere trovo estremamente deplorevole che dipendenze estremamente deleterie come l’alcol, il fumo e la ludopatia rappresentino una cospicua fonte di guadagno per lo stato.
-Quali sono i suoi progetti futuri?
Ho ricevuto da parte di una casa editrice la richiesta di pubblicare il seguito di SUSSURRI DALLE TENEBRE. Chissà… sto ancora valutando la cosa.
Intervista di Lisa Di Giovanni
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