Brama, di Ilaria Palomba
Ilaria Palomba presenta un’opera complessa e introspettiva, narrata dalla protagonista Bianca in una prima persona tagliente, al limite della crudeltà verso sé stessa e anche verso il disarmato lettore. Si arriva alla fine del libro fortemente destabilizzati; traboccanti di citazioni poetiche, di suggestioni filosofiche e di domande esistenziali che, ci rendiamo conto, erano già
sepolte nella nostra anima, in attesa di essere portate alla luce.
«Amo molto Kierkegaard, Il diario del seduttore in particolare, ho sempre avuto l’impressione che avesse un’inconfessabile predilezione per la vita estetica, perché ciò che più si fugge, la paura più grande, è il desiderio, il desiderio reale, la natura della nostra anima, da quella fuggiamo».
“Brama” di Ilaria Palomba è un romanzo amaro, crudo e drammatico, impregnato di attaccamento alla vita e di pulsione di morte, che consapevolmente colpisce il lettore dove fa più male. Con una scrittura che si può definire chirurgica, l’autrice seziona i pensieri della sua protagonista senza anestesia, li scava, li eviscera, li rende materia inerte per poi riportarli in vita, trasfigurandoli. È un’opera che mette in scena il violento balletto tra amore e follia, tra costruzione e decostruzione, in cui i due ballerini, Bianca e Carlo, si muovono a scatti, a volte sgraziati, ipnotizzati da una musica dissonante che li distrae dai loro ruoli, che li confonde fatalmente trasformandoli da danzatori in combattenti su un ring. Bianca è l’istinto, è il simbolo della brama del piacere e del possesso che non riesce a saziarsi mai, anzi, che si esaurisce nella tragedia dell’impossibilità; Carlo è il sapere, l’arroganza del filosofo che pensa di aver compreso il gioco della vita. Il loro incontro è deflagrante, ed è consumato nel dolore: per Bianca lui è il mentore che non è mai stato il suo inarrivabile padre ma diventa presto altro, qualcosa che somiglia a una tortura deliziosa; lei è l’incognita, la scheggia impazzita, il fragile vaso già caduto in pezzi e incollato malamente.
L’autrice narra una vicenda che toglie il fiato con la sua densa oscurità ma che apre anche improvvisi squarci di luce; è un viaggio caleidoscopico nella vita presente, nei ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza e nelle visioni allucinate della protagonista, nel suo equilibrio precario sull’abisso. Bianca è una giovane donna spezzata, frammentata, smarrita, autolesionista, alienata e rabbiosa, che entra ed esce da crisi depressive che sfociano in tentativi di suicidio; è una creatura complicata nella cui mente il senso del vivere e quello del morire si confondono. L’autrice lancia al lettore una sfida mediante un flusso di coscienza crudo, lucido e a tratti spaventoso; un’autoanalisi spietata che si placa solo quando parla di ciò che acquieta la sua anima: la letteratura, la filosofia, la musica classica. Sono confortanti punti di vista da cui osservare il mondo, sempre più freddo e arido ai suoi occhi; sono materie plasmabili con cui cerca di riempire quel vuoto che ha dentro, e che l’indifferente Carlo Brama le ha scavato con pazienza, mentre lei lo lasciava fare, ossessionata da lui e dalla sua intellettualità. Questo romanzo rimane incastrato nell’anima e Bianca diventa un tormentato fantasma che ci fa compagnia; lei, vittima e insieme carnefice dalla fragilità fagocitante, che distrugge sé stessa mentre brama di essere integra, mentre tenta di costruire dighe intorno al suo io liquido.
SINOSSI DELL’OPERA. Possedere l’altro, primeggiare, schivare le attenzioni di una madre morbosa, meritare il riconoscimento di un padre inarrivabile sono i desideri che animano Bianca, fragile trentenne, ricoverata più volte in psichiatria per i suoi vani tentativi di suicidio. L’incontro con il filosofo Carlo Brama, ambivalente oggetto di desiderio, rende maggiormente precario il suo stare al mondo e apre un viaggio a ritroso nell’infanzia e nell’adolescenza pugliese, frugando tra i segreti di una famiglia borghese piena di scheletri nell’armadio. L’amore non è una fiaba a lieto fine ma una radiografia della psiche, un legame tanto carnale quanto spirituale che, come in un rito, nel suo compiersi conduce al trascendimento della ragione. Tra Carlo e Bianca c’è un gioco crudele che diventa una condanna, una tessitura di destini, sacra e terribile, cui cercano entrambi di sfuggire.
BIOGRAFIA DELL’AUTRICE. Classe ’87, Ilaria Palomba è laureata in Filosofia; ha tenuto laboratori di scrittura creativa nei centri diurni di psichiatria e presso alcune scuole. Tra le sue pubblicazioni: per Gaffi “Fatti male”, tradotto in tedesco per Aufbau-Verlag, e “Disturbi di luminosità” (da cui lo spettacolo teatrale Disturbi, con regia di Olivia Balzar); per Meridiano Zero “Homo homini virus” (Premio Carver, 2015) e “Una volta l’estate”. Ha inoltre pubblicato le sillogi “Mancanza”, “Deserto” (Premio Profumi di poesia 2018) e “Città metafisiche” (Ensemble) e il saggio: “Io Sono un’opera d’arte, viaggio nel mondo della performance art”. Dal 2010 conduce una ricerca sul tema del disagio (psichico, sociale, generazionale) e ha aperto un blog dove ha svolto un’indagine sul dolore dell’anima mediante interviste a persone che anonimamente hanno raccontato la loro esperienza di disagio: dissipatu.blogspot.com. Ha scritto per Minima et Moralia, Pangea, Nuovi Argomenti. Ha fondato il blog letterario Suite italiana.
Casa Editrice: Giulio Perrone Editore
Collana: Hinc
Genere: Romanzo psicologico
Pagine: 240
Prezzo: 16,00 €
https://ilariapalombalibri.blogspot.com
https://suiteitalianalt.blogspot.com
https://www.instagram.com/i_palomba/
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